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L'amplificazione è un elemento imprenscindibile della catena audio, in qualsiasi situazione e applicazione. Infatti, se è ovvio che l'amplificazione sia importantissima nella riproduzione dell'audio casalinga e dal vivo, bisogna anche ricordare che ogni segnale sul quale si sta lavorando in studio va monitorato nel modo adeguato, e non bisogna mai sottovalutare l'importanza dei componenti che utilizziamo per l'ascolto.
Sebbene l'amplificazione sia considerata una delle componenti più semplici dell'audio - e non senza una parte di ragione - è anche vero che troppo spesso viene sottovalutata, affidando ad una attrezzatura scadente o inadeguata il monitoraggio, soprattutto in studio, dove invece per il tecnico è fondamentale non solo utilizzare apparecchiature idonee, ma anche conoscerle a fondo e saper discernere le loro reazioni ad ogni tipo di segnale, sia dal punto di vista dei livelli sia da quello delle frequenze.
Capita spesso ai neofiti di avere a disposizione materiale ben registrato e ben interpretato, e poi di rovinare il risultato finale con un missaggio "sballato", realizzato magari con casse hi-fi del tutto inadeguate.
In questo tutorial spiegheremo cos'è un amplificatore, come funziona, e quali sono i tipi di amplificatori e le loro caratteristiche. Vedremo inoltre cos'è un preamplificatore e a cosa serve.A che serve l'amplificatore?


Se trovate banale questa domanda, allora probabilmente è inutile che continuiate a leggere!
L'amplificatore è una di quelle apparecchiature che contengono nel nome la loro principale funzione, ma anche i germi di qualche equivoco.
Diciamo che in generale un amplificatore è un dispositivo che serve ad incrementare un segnale, come indica il nome, ma è anche un'apparecchiatura che introduce un controllo sui valori caratteristici del segnale, in grado di linearizzarlo e di controllarne ed eventualmente modificarne l'impedenza.
Inoltre è importante sottolineare che un amplificatore non agisce necessariamente o solamente sul livello di un segnale, ma anche, se necessario, su altri valori.
Un amplificatore può essere utilizzato, ad esempio, dal vivo, per consentire al pubblico di un concerto di udire l'uscita del mixer nel quale confluiscono i segnali dei vari strumenti; può essere utilizzato in studio o sul palco per consentire al segnale (molto basso) di un microfono di raggiungere il livello correttamente interpretabile dal mixer (in questo caso si parla di preamplificatore); può essere utilizzato come convertitore di impedenza per adattare il segnale di un microfono (spesso con altissime impedenze) o di uno strumento elettrico (D.I. Box); può essere utilizzato in funzione della frequenza, nel qual caso prende il nome di equalizzatore.
La parola "amplificatore" insomma va presa un po' con le pinze: tenete conto che se parlate di amplificatori con un amante dell'hi-fi, quest'ultimo visualizzerà probabilmente questa immagine dell'amplificatore:



mentre un chitarrista penserà probabilmente a questa immagine:



e un tecnico di palco immaginerà forse qualcosa di simile a questo:



eccetera eccetera.


Come funziona un amplificatore


Una immagine classica per comprendere l'uso dell'amplificatore è quello della valvola, intesa in senso idraulico (la valvola elettronica, anche detta - più propriamente - tubo a vuoto, prende il nome proprio dalla valvola idraulica).



Tramite la valvola idraulica, è possibile controllare grandi pressioni d'acqua con un minimo dispendio di energia.
Analogamente, un tubo a vuoto controlla l'entità del flusso di segnale.



Non è semplice dare una spiegazione del funzionamento dei tubi a vuoto senza prima fornire una infarinatura di elettronica.
Possiamo però dire con una certa semplicità che, in presenza di una corrente continua, nel tubo a vuoto si presenta una differenza di potenziale tra il catodo e l'anodo (quest'ultimo detto placca nel tubo a vuoto).
Fra i due elementi, catodo e placca, si trova una rete a griglia di materiale metallico, la quale svolge una funzione analoga a quella della valvola idraulica, regolando il flusso di elettroni che si spostano dalla placca al catodo.
Lo schema che vediamo è quello di un particolare tubo a vuoto, il triodo.



Quando il livello del segnale sulla griglia subisce variazioni anche minime, corrispondentemente ci sono variazioni analoghe ma molto maggiori tra il catodo e la placca.
Questo si traduce, come si vede nello schema esemplificativo, in una amplificazione del segnale.



La maggior parte degli amplificatori attualmente sul mercato non utilizzano più i tubi a vuoto, eccezion fatta per apparecchiature particolarmente costose.
Sono invece molto diffuse le apparecchiature a transistor.
Il transistor (trans-resistor, ossia resistenza variabile) si basa su un principio elettrico del tutto differente, ma nella sostanza simile, nel senso che l'azione svolta dal transistor è identicamente assimilabile a quella della valvola che abbiamo visto all'inizio.
Con una tensione di controllo alla base del transistor, è possibile creare una variazione nella resistenza tra collettore ed emettitore, proporzionale alla tensione di controllo ma molto maggiore. Questo si traduce in una amplificazione all'uscita del dispositivo.
Lo schema di base di un amplificatore a transistor non è molto dissimile da quello di un amplificatore "a valvola" (ossia a tubi a vuoto).



Nella pratica il transistor non opera in modo lineare, il che costringe ad operare una correzione mediante un segnale di bias applicato alla base del transistor: questo segnale costringe il transistor ad operare in una zona di linearità.


Possibili problemi di un amplificatore


Sono due le principali difficoltà incontrate da un amplificatore: la prima è il rumore, la seconda è la saturazione.
Il rumore è dovuto alla circuiteria stessa, e può essere più o meno presente nel segnale in uscita a seconda di come è progettata e costruita la circuiteria stessa. Questo è un parametro molto importante in un amplificatore, e dipende in genere dall' accuratezza del fabbricante.
E' ovvio che, nella maggioranza dei casi, amplificatori di fascia di prezzo più alta e fabbricati da grandi produttori saranno i meno rumorosi, sebbene siano sempre presenti eccezioni.
La saturazione è invece un fenomeno che non dipende dalla qualità del dispositivo, ma unicamente da tre valori: l'alimentazione, il rapporto di guadagno e il valore del segnale in ingresso.
Facciamo un esempio: Se l'amplificatore ha un'alimentazione di 24 volt, ciò vuol dire che la massima tensione in uscita possibile sarà di 24 volt. Tensioni maggiori produrranno necessariamente una alterazione del segnale, essendo fisicamente impossibile per l'apparecchiatura una uscita maggiore.
Ora, immaginiamo che un segnale in ingresso abbia un valore di 0,5 volt e che l'amplificatore stia operando con un rapporto di guadagno di 30:1.
E' evidente con un semplicissimo calcolo che il valore di 0,5 volt moltiplicato per 30 darà un'uscita di 15 volt: ciò è compatibile con l'alimentazione e il segnale verrà inviato in uscita regolarmente.
Immaginiamo invece un segnale in ingresso di 1 volt, con lo stesso rapporto di guadagno di 30:1.
In questo caso il valore di 1 volt moltiplicato per 30 darò un valore in uscita di 30 volt.
Questo è incompatibile con il massimo valore di tensione in uscita.
Ciò produrrà un taglio delle onde in uscita, e una corrispondente distorsione del segnale.
Il diagramma che segue rappresenta il taglio delle onde in uscita.



Va detto che il fenomeno della distorsione viene percepito molto più distintamente con i transistor che con i tubi a vuoto, in quanto i transistor in caso di distorsione producono una grande quantità di armonici dispari, particolarmente udibili e fastidiosi.


L'amplificatore operazionale


Tutti gli amplificatori che trovano applicazione nella produzione audio sono amplificatori operazionali (abbreviato in op amp).
Un amplificatore operazionale è un amplificatore a larga banda ed elevato guadagno, con alta impedenza in ingresso e bassa impedenza in uscita.
Vi sono numerosi tipi di amplificatore operazionale:
  • Il preamplificatore
  • L'equalizzatore
  • L'amplificatore sommatorio
  • L'amplificatore distributore
  • L'amplificatore da isolamento
  • L'amplificatore convertitore di impedenza
  • L'amplificatore di potenza
  • Il VCA (amplificatore controllato in tensione)
  • Il DCA (amplificatore a controllo digitale)
Nel seguito ci occuperemo solo di alcuni di questi: l'amplificatore di potenza, il preamplificatore, il VCA.


Il preamplificatore


Il preamplificatore è uno strumento fondamentale in studio e dal vivo, e si può presentare sia come outboard che come sezione di una consolle.
Il preamplificatore (o pre, come viene spesso abbreviato) è necessario non solo per incrementare il livello microfonico a quello di linea, ma anche per dare la possibilità di un controllo del guadagno del segnale e consentire di conferire determinate caratteristiche al segnale stesso.
Il preamlificatore è infatti uno strumento "che suona", capace di dare un colore ed uno spessore caratteristici al suono, all'incirca allo stesso modo di un microfono.
La qualità del preamplificatore in un lavoro in studio è fondamentale per la riuscita finale del lavoro, per cui è molto importante verificare che il proprio pre non produca un eccessivo rumore e sia in grado di rendere una buona gamma dinamica.
Come per molte altre apparecchiature (vedi soprattutto i compressori), un preamplificatore valvolare, ben progettato e realizzato in modo rigoroso, può dare degli eccellenti risultati, ma anche molti modelli a transistor sono ormai di livello eccellente.
Negli ultimi anni si è affermato sempre più l'uso dei cosiddetti channel strip: apparecchiature che racchiudono in una o due unità rack un gran numero di funzioni assieme al preamplificatore.
Quello raffigurato qui di seguito, ad esempio, dispone di: preamplificatore, alimentazione phantom, compressore, expander, de-esser, equalizzatore, peak limiter, oltre al controllo del guadagno in uscita.



L'altro apparecchio che vediamo qui sotto raffigurato, invece, è un preamplificatore a 4 canali; o meglio, potremmo dire 4 preamplificatori gemelli in un unico blocco. Molto comodo per microfonare in diretta piccoli cori o, ad esempio, una batteria.




L'amplificatore di potenza


L'amplificatore di potenza viene detto anche finale di potenza (o semplicemente finale) o anche, abbreviando dall'inglese, power amp.
Il power amp ha la funzione di alzare la potenza di un segnale alla potenza alla quale i diffusori possano raggiungere un certo livello desiderato.
Questa definizione, all'apparenza un po' fumosa, ha una precisa ragione d'essere nel fatto che è il livello desiderato - e insieme quello consentito dai diffusori, o monitor - a definire la potenza necessaria dell'amplificatore, e non ovviamente il contrario.

Sono molti i fattori che entrano in gioco in un amplificatore di potenza, sia per quanto riguarda la scelta, sia per quanto riguarda la manutenzione.
Innanzi tutto diciamo che nell'uso di un amplificatore di potenza va tenuto conto della produzione di calore di quest'ultimo, in particolare per le apparecchiature a transistor. Un amplificatore di potenza deve disporre di varie protezioni per evitare rotture della circuiteria in caso di sovraccarico termico.
Un altro parametro estremamente importante è l'impedenza.
L'impedenza in uscita della maggior parte degli amplificatori di potenza in commercio è compresa tra i 4 ohm e i 16 ohm, con una certa preponderanza per il valore nominale di 8 ohm.
E' estremamente importante, per evitare danni al sistema, accertarsi che l'impedenza in uscita richiesta dall'amplificatore sia compatibile con l'impedenza richiesta dai monitor.
Bisogna sapere infatti che un amplificatore di potenza che si trovi ad alimentare un sistema di diffusori dalla sensibilità troppo bassa, rischia di andare in sovraccarico, con la tendenza quindi a produrre distorsione; questa distorsione (fatta di onde "tagliate", se ben ricordate) contiene per sua natura segmenti di corrente continua ad alto livello, capaci di bruciare le bobine dei diffusori, compromettendo il funzionamento del sistema stesso (oltre al danno economico, avremo anche rovinato la serata!).
Fate attenzione perchè un fraintendimento è molto diffuso: non si tratta di quanto siano grandi o "potenti" o "resistenti" i monitor: l'amplificatore arriva a bruciare le bobine degli stessi quando la sensibilità complessiva del sistema sia troppo bassa, ovvero proprio quando - maccheronicamente parlando, spero che gli esperti mi perdoneranno l'imprecisione di linguaggio - i diffusori forniscono apparentemente maggiore "resistenza" (non in senso elettrico ma in quello intuitivo), perchè è l'amplificatore in questo caso ad andare in sovraccarico, non essendo in grado di gestire l'alto livello che il segnale prende in uscita.
La sensibilità del sistema si misura in dB SPL/W/m2.

Stabilire la potenza necessaria dell'amplificatore di potenza perchè sia possibile fornire energia adeguata ai diffusori, ad esempio nel caso di un concerto all'aperto, non è cosa facile e richiede un certo numero di calcoli.
Per chi volesse seguire un po' di formule, proviamo ad esporre il calcolo necessario, soprattutto per dare l'idea di quali siano le difficoltà che si incontrano nel maneggiare grossi impianti di amplificazione.
Introduciamo innanzi tutto le grandezze di cui abbiamo bisogno.
  • Chiameremo LAmp il guadagno richiesto all’amplificatore in dBW
  • Lp sarà il ivello di pressione sonora desiderato
  • Dx sarà la distanza tra i diffusori e gli ascoltatori (in genere si considera la distanza tra i diffusori e lo spettatore più lontano che si voglia raggiungere)
  • DDx sarà pari a 20 log Dx (differenza di livello SPL con la distanza)
  • LTM è il margine per i transitori, ossia il cosiddetto Headroom o fattore di cresta
  • MOffAxis è il valore di correzione per il fuori asse
  • LSENSI sarà il valore di sensibilità dei diffusori (espresso in dBSPL ad 1W/1m)
Il margine per i transitori o Headroom LTM è il margine di livello massimo transitorio sopportabile dai monitor, e si misura in dB.
Il valore di correzione per il fuori asse MOffAxis è la variazione della pressione sonora SPL su tutta l’area d’ascolto, anch'esso naturalmente misurato in dB.

Una volta noti tutti questi parametri, sarà possibile applicare la formula

LAmp = (Lp + DDx + LTM + MOffAxis) - LSENSI

grazie alla quale possiamo stabilire il guadagno richiesto all'amplificatore in dBW.
Per convertire questo valore in potenza elettrica (o meglio in EPR, “Electrical Power Required” - potenza elettrica necessaria per ottenere le prestazioni predeterminate, ossia la Max SPL alla distanza desiderata per una data dispersione e con un dato Transient Margin) applichiamo la formula di conversione:

EPR= PSENSI x10 (LAmp/10)

ossia, essendo PSENSI la potenza di riferimento utilizzata per determinare la sensibilità dei diffusori, potenza fissata in 1 Watt:

EPR (misurata in W) = 10 elevato a (LAmp/10) dove LAmp è espressa in dBW

Mi rendo conto della difficoltà di queste formule ma spero che le scorrerete - come suol dirsi - con beneficio d'inventario, passando invece ad un eventuale approfondimento in caso di necessità.


Il VCA (amplificatore controllato in tensione)


Un ultimo paragrafo per un breve chiarimento su un oggetto "strano" nel quale ci si imbatte spesso parlando di apparecchiature per l'audio professionale: il VCA (Voltage Controlled Amplifier).
Il VCA non ha (come gli amplificatori visti finora) livello in output proporzionale al livello di input; il livello è invece funzione di una tensione continua, tra 0 e 5 volt, applicata all'input di controllo del VCA. Il segnale quindi viene attenuato proporzionalmente all'aumento della tensione di controllo, il che vuol dire che viene applicato un segnale esterno per controllare l'incremento del segnale in uscita.
Il VCA ha molte applicazioni (ad esempio all'interno dei campionatori e degli equalizzatori), in particolare laddove sia utile una automazione del controllo sul livello del segnale.




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